Avvio a freddo, un dilemma

Ricerca Empa sul catalizzatore

Avvio a freddo, un dilemma

28 febbraio 2020 upsa-agvs.ch – L’accensione a freddo è più frequente nelle ibride e ibride plug-in che nelle auto con propulsioni convenzionali. Ciò avviene ogniqualvolta il motore a combustione si spegne e subentra quello elettrico. Quanto ci mette il catalizzatore a raggiungere la temperatura giusta per ripulire i gas di scarico? Qual è il metodo migliore per riscaldarlo? Dei ricercatori Empa ha trovato la risposta.

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pd. Tra gennaio e settembre 2019 la Svizzera ha registrato circa 17’000 immatricolazioni di ibride e ibride plug-in. L’incremento rispetto all’anno precedente è del 60 percento. E il trend avanza a ritmo sostenuto. In città queste auto possono percorrere diversi chilometri con il solo motore elettrico. Quello a combustione, invece, interviene esclusivamente quando si dà gas in autostrada e sulle strade extraurbane. E qui sorge un problema. Fuori porta il motore si avvia a freddo. E lo fa quando è già su di giri e sta lavorando a pieno regime, vale a dire in condizioni non standard. Il trattamento dei gas di scarico sta al gioco? I catalizzatori, in uso dagli anni ‘80, sono preparati ad affrontare un caso del genere? Viola Papetti e Panayotis Dimopoulos Eggenschwiler lo hanno stabilito con modello matematico appositamente sviluppato. E consigliano un modo con cui in futuro si potrebbe preriscaldare il catalizzatore per farlo funzionare al meglio.

All’avviamento a freddo il motore soffia gas caldi di combustione nel catalizzatore. Prima che questo cominci però a trattarli per via chimica deve riscaldarsi un po’ alla volta. Finché è freddo il monossido di carbonio (CO), gli ossidi di azoto (NOx) e gli idrocarburi incombusti non incontrano alcun ostacolo e si disperdono nell’ambiente. I moderni veicoli Euro 6 raggiungono buone prestazioni nella riduzione delle emissioni solo a catalizzatore caldo. La differenza è enorme: nei primi tre minuti dopo l’avviamento a freddo il veicolo emette più sostanze nocive che su 1000 chilometri percorsi a temperatura di regime.

Per i loro calcoli gli studiosi dell’Empa hanno scelto un catalizzatore tipico di un motore a benzina 2,0 litri. Con dei programmi appositamente sviluppati sulla base della piattaforma software open source «OpenFOAM» i ricercatori hanno quindi calcolato come i gas di scarico riscaldano la struttura alveolare in ceramica del catalizzatore e il «washcoat», lo strato che li depura per via catalitica. All’inizio il catalizzatore viene solo «intiepidito» dai gas caldi. Poi il calore ne penetra progressivamente la ceramica e l’involucro metallico. Le prime reazioni chimiche nella parte anteriore del catalizzatore iniziano solo dopo. A contatto con il washcoat le sostanze nocive vengono dapprima parzialmente scisse per reazione chimica. Questo passo produce ulteriore calore che riscalda il resto del catalizzatore.

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Viola Papetti e Panayotis Dimopoulos. Immagine: Empa

Il modello matematico dei ricercatori è stato applicato in una giornata d’inverno a –13 gradi Celsius. Ecco cosa ne è emerso. Nei primi 30 secondi di marcia il catalizzatore ... non fa niente. Poi comincia a riscaldarsi il primo quarto. Dopo un minuto il calore raggiunge il secondo quarto. Solo dopo due minuti dall’avviamento del motore arriva al terzo quarto. Ci vogliono in totale tre minuti e mezzo perché il catalizzatore si riscaldi al 75 percento e arrivi a 140 gradi Celsius, temperatura a cui pulisce buona parte dei gas di scarico.

I ricercatori hanno ripetuto il calcolo modello su un’auto ibrida. Poniamo il caso che il catalizzatore caldo si sia raffreddato durante lo stop and go perché l’auto è spinta solo dal motore elettrico. Anche in questo caso, pur avendo una temperatura residua di 90 gradi circa, ha bisogno di tre minuti per ridiventare completamente caldo. Se non altro il processo di riscaldamento si compie a temperature più alte, il che favorisce l’inizio delle prime reazioni chimiche che ripuliscono i gas.

Infine i ricercatori hanno simulato un avviamento a freddo in autostrada – una situazione tipica per le ibride plug-in, che si spingono fino alle porte della città con l’aiuto della batteria e poi passano al motore a combustione. In questo caso il catalizzatore ha una temperatura di –13 gradi ma lo attraversa una quantità doppia di gas di scarico caldi. Nelle ibride plug-in gli occorrono 90 secondi per raggiungere una temperatura sufficiente al trattamento. Il flusso di gas più consistente riscalda infatti il catalizzatore più velocemente. Le reazioni chimiche iniziano prima e sono più marcate.

 

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Ma c’è un ma. Persino le ibride plug-in più moderne emettono sostanze nocive per minuti e minuti ogni volta che si avviano a freddo. Nei prossimi anni questo fatto potrebbe diventare un problema se l’UE dovesse dare un altro giro di vite alle norme sui gas di scarico. Per risolverlo si potrebbe riscaldare il catalizzatore in modo mirato non appena si accende il motore a combustione. O meglio ancora prima che si accenda. Ma come riuscirci? «Per me le possibilità sono tre», spiega Dimopoulos Eggenschwiler, ricercatore dell’Empa. «Si potrebbe far produrre al motore gas di scarico più caldi. Ma costerebbe più carburante. Oppure si potrebbe utilizzare la batteria ibrida delle auto per ottenere un preriscaldamento elettrico dei gas. O si potrebbe preriscaldare il washcoat del catalizzatore con delle radiazioni a microonde. Questa soluzione è un’idea che l’Empa sta sviluppando per la produzione in serie». Ma c’è ancora un punto interrogativo. Qual è il metodo più efficiente per abbattere le sostanze nocive? Quale costa meno energia?

Gli studiosi hanno calcolato anche questo. Nell’avviamento a freddo in città è più vantaggioso preriscaldare solo i gas di scarico. In autostrada, invece, questo metodo ne richiederebbe una grande quantità, il che costerebbe troppa energia. In questo caso è più vantaggioso preriscaldare direttamente il washcoat. «Alla fin fine i risultati migliori si ottengono solo combinando tutti questi metodi», afferma Viola Papetti, che ha eseguito i calcoli di simulazione.

«Ci sarebbe anche un’altra cosa», aggiunge Panayotis Dimopoulos Eggenschwiler alla fine del colloquio, «da un po’ di tempo stiamo applicando il nostro metodo di calcolo anche alle elettriche». Il programma di simulazione degli studiosi Empa può infatti tracciare non solo la distribuzione del calore nel tratto di scarico dei motori a combustione ma anche quella delle batterie a ioni di litio. Lo strumento è quindi l’ideale per ottimizzare la tecnica di raffreddamento delle auto elettriche – e anche quello delle stazioni di ricarica. Un altro beneficio (e non proprio irrilevante) del software, se si pensa che il monitoraggio della temperatura e il raffreddamento sono i presupposti per la realizzazione di sistemi di ricarica rapida validi.

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